Da Domenica 23 Novembre 2014 a Domenica 15 Marzo 2015 la Pinacoteca Comunale di Gaeta ospiterà la mostra Attilio Zanetti Righi – Opere 1970-2011 con l’esposizione di una quarantina di opere dell’Artista italo-svizzero.
La mostra, promossa dal Comune di Gaeta e dall’Associazione Culturale Novecento, la prima postuma dell’Artista, si propone di ripercorrere l’arco della sua lunga carriera attraverso la presentazione di opere provenienti da collezioni pubbliche e private e dal lascito dell’Autore nel tentativo di ricercare un filo conduttore nel lavoro di un artista che ha fatto della ricerca spasmodica la ragione del suo vivere nell’Arte.
Una mostra nell’area del Golfo dove ebbe inizio la sua carriera Zanetti Righi l’aveva già in progetto prima della sua scomparsa nel 2011 e quindi viene esaudita in qualche misura dagli eredi e dalla fondazione svizzera Zanetti la sua volontà, più volte espressa, di rendere omaggio agli amici, ai colleghi e a tutti coloro che lo avevano accolto e sostenuto nell’area del Golfo di Gaeta ed ai luoghi stessi, pieni di luce e di colori sgargianti dai quali fu rapito e affascinato.
La mostra è curata dalla direzione artistica della Pinacoteca Comunale di Gaeta con la collaborazione di Rita Laurenza.
Il catalogo si avvale degli interventi di Marcello Carlino e Robert Krushuwitz.
Attilio Zanetti Righi nasce a Schaffhausen nel 1926 da famiglia di origine ticinese di Ascona-Onsernone. Compiuti gli studi superiori in Svizzera, nel 1947 va in pellegrinaggio con un compagno di studi a Montagnola e incontra per un’intervista lo scrittore Hermann Hesse, del quale gli rimane impressa la rigida regola ascetica e il senso della vocazione.
Giovane aspirante artista, per la sua formazione artistica non sceglie – come molti artisti della sua generazione – di trasferirsi a Parigi, ma opta per l’Italia, scelta altrettanto “classica” quanto alla tradizione mitteleuropea, alla ricerca delle proprie radici; scriverà riguardo al suo primo viaggio da adulto in Italia: “..Venivo da Napoli con il mio compagno Samuel Lier, pittore anche lui. Siamo arrivati in treno nella pianura di Minturno al tramonto, nell'agosto del 1948, e rimanemmo travolti da una luce rosso fuoco, sembrava che quella città in alto, sulla collina, bruciasse: uno spettacolo ipnotico”. Da queste impressioni del suo viaggio nell’Italia del primissimo dopoguerra ha inizio il rapporto di AZR con l’Italia, rapporto che resterà ininterrotto per tutta la sua vita.
Ottenuta una borsa di studio dal governo svizzero nel 1951 s’iscrive all’Accademia d’Arte di Firenze e studia, tra gli altri, sotto la guida di Ottone Rosai ed Emanuele Cavalli: in due anni consegue il diploma. Dopo un breve soggiorno in Svizzera, in cui AZR ottiene altre due borse di studio federali, nel ’55 torna a Firenze, dove ha inizio un percorso di rigorosa ricerca figurativa, di affinamento dello sguardo e indagine della luce, coadiuvato da un esercizio costante del Mestiere: questo perfezionamento del gesto, dell’uso degli strumenti e dell’indagine figurativa segna la Bildung iniziale di AZR pittore.
Ottenuta un’altra borsa di studio, nel 1960 decide si stabilirsi a Minturno, dove costruisce su suo progetto architettonico, la sua prima casa -studio. E’ solo dopo questa scelta di vivere in Italia che nel 1961 e nel 1962, dopo una serie di apparizioni precedenti in mostre collettive svizzere, tiene le sue tre prime esposizioni personali, a Schaffhausen, Zurich e Lugano, dove, sotto la giuria di Max Bill e Marino Marini, ottiene il primo premio; dopo queste prime esposizioni, AZR incomincia la definizione del suo percorso creativo personale, percorso che a partire dal classico figurativo-ritrattistico lo porterà verso la definizione di uno stile autentico e di una ricerca personale più concettuale, pur sempre sviluppata, nel confine tra figurativo e non-figurativo, all’interno di una dialettica sempre auto-retrospettiva, aperta alle numerose esperienze creative a cui andrà incontro.
Nel 1966 si trasferisce per un anno a Londra, dove partecipa alla vita culturale anglosassone di quel periodo – quest’esperienza lo porta a un sincretismo tra la pittura europea e anglosassone di quegli anni e l’eredità classica che respira nel suo luogo di elezione creativa: quell’Italia ancora pre-industriale densa e silente di forze ed energie telluriche e mitiche; il risultato di questa sua ricerca viene esposto in numerose collettive e personali sia in Italia che in Svizzera per tutto l’arco degli anni ’60 fino alla metà degli anni ’70 (Roma, Minturno, Lugano, Formia, Schaffhausen e Wintherthur), periodo in cui stabilmente partecipa alla vita culturale del Golfo di Gaeta; l’incontro con la cultura e la tradizione pontina lo porta alla realizzazione di grandi cicli, come nel caso delle “Pacchiane” (esposte stabilmente a Minturno) e importanti e massive personali (Lugano 1976, dove espone in 100 opere – pitture, incisioni, sculture, disegni – tutta la sua produzione dei suoi primi due decenni di lavoro) che rappresentano il punto di arrivo, idealmente, di una “prima fase” della sua ricerca creativa, eminentemente e più classicamente pittorica.
Nel 1976 parte per il Sudamerica, Brasile e soprattutto Argentina:dove i suoi antenati erano emigrati e la madre Maria, 19enne, aveva fatto nascere il suo atelier di moda, trasferito poi a Schaffausen ai tempi dell’infanzia dell’artista; è proprio l’importanza di questo viaggio, nel quale vive e lavora a stretto contatto con l’artista Aldo Paparella, col quale intratterrà uno scambio umano e artistico proficuo e decisivo, che ne segna lo sviluppo artistico successivo. L’Andenken, se vogliamo,la ri-figurazione nel pensiero di quell’operare primigenio materno e artigianale – come lo stesso AZR ebbe a dire – su grandi tavoli, il misurare, tagliare, comporre stoffe e colori, il trovare misura ed equilibrio, irrompe nel processo creativo di AZR: da questo momento in poi, infatti, la “tecnica mista” diventa, fino all’ultimissimo periodo, il mezzo espressivo precipuo di tutta la sua opera.
Alla fine del 1976 decide di proseguire la sua ricerca più a sud e si trasferisce a Laureto Di Fasano, in Puglia, ancora una volta in una casa-atelier. Nonostante questo spostamento sembri un mero cambio di scenario, una nuova ricerca di “Luce”, in un paesaggio e luogo diverso, in questo periodo si apre invece una nuova fase, inaspettata forse, che potremmo definire da un lato più“introspettiva” e dall’altro anche più“aperta” a molteplici influssi, collaborazioni con colleghi operanti nel Golfo Di Gaeta come Bartolomeo, Soscia e altri; le opere di questo “secondo periodo” pugliese, ma anche svizzero e romano – sarà un periodo di continui spostamenti e peregrinazioni e personali ricerche filosofiche e teoriche a tutto campo tra le quali l’incontro con la “teologia dell’Icona” di Pavel Florenskij e la sua “geometria sacra” – risentono di questa svolta verso l’opera come “icona”, o come oggetto, o come ready-made, nel suo significato concettuale ed epistemologico più ampio: alle grandi opere precedenti spesso succedono piccole opere, spesso su legno o cartone, con tecniche miste, trasportabili, come inscritte in un’esigenza di viaggio interiore ed esteriore irrinunciabile.
Per tutti gli anni ’80 espone in vari luoghi non solo i suoi “prodotti creativi”, le sue opere pittoriche, ma comincia a realizzare grandi murali tematici che espone o installa in differenti luoghi contemporaneamente (Formia, Fasano, Brindisi, Winterthur, Zürich e Gaeta):a contraltare di questo nomadismo artigianale, in un superamento della visione classica dell’artista e del suo atelier come sistema chiuso di produzione – superamento che in quegli anni anche storiograficamente nel mondo dell’Arte si affermava – si erge in AZR anche il bisogno di “installazione” e “localizzazione” o “situazione” dell’Opera, del reperimento di un locus in cui l’Opera,il monumentum possa testimoniare il suo restare nel tempo in questo periodo Attilio Zanetti Righi rigetta la forma espositiva classica galleristica intrattenendo spesso una relazione personale amicale o intellettuale con i suoi stessi collezionisti, che diventano acquirenti delle sue Opere spesso proprio dopo la conoscenza dell’artista stesso.
Alla fine degli anni ’80, AZR, in virtù di questo fermento creativo multiverso, decide di stabilirsi contemporaneamente a Roma e a Zürich, scelta che manterrà per tutto il resto della sua vita: questo “terzo periodo”, che durerà dalla fine degli anni ’80 fino alla sua scomparsa nel 2011, segna la svolta decisiva nella Vita e nelle Opere di AZR: da una parte nasce un AZR pubblico che espone e realizza grandi murali per istituzioni pubbliche e private (in Svizzera e Italia) e dall’altra vi è un AZR più “privato” che continua a lavorare quotidianamente nel suo studio articolando e innovando in senso più concettuale la propria ricerca formale.
Negli anni ’90, in virtù di questo doppio binario esperienziale, si compie nel percorso creativo di AZR un’importante svolta formale: se da una parte gli influssi della logica delle grandi opere (geometrizzazione, semplificazione delle forme per le grandi proporzioni delle opere, molteplicità dei materiali usati aldilà della pittura) lo spingono a una nuova considerazione spaziale all’insegna della geometria e dell’architettura, dall’altra sul piano tecnico realizzativo il suo lavoro resta solo apparentemente “astratto” nel senso concettuale del termine: si conserva la sua attitudine artigianale, nella tecnica mista quotidiana e laboriosa, tra il cartamodello materno, la pittura, la geometria, le applicazioni tecniche scolare d’infanzia riconquistate con la saggezza di un pittore d’icone, il tutto asservito a un concetto di “instabilità formale”e ”anti-alfabeto pittorico” – su cui AZR insisterà più volte, anche teoreticamente, nel dibattito con colleghi, intellettuali e amici -concetto nel quale farà confluire negli ultimissimi anni di produzione echi e rimandi a tutta la sua opera figurativa e non, in un estremo gesto autoriale che tenti di fondare un nuovo “criterio semantico” o “sistema di segni” dell’Opera d’arte stessa, intesa in senso estetico moderno.
Negli anni 90 e negli anni 2000 AZR espone senza sosta in numerosissime collettive e personali in spazi pubblici e privati in Italia, Svizzera, Austria e Croazia; “espone”, però,opere di diversa natura: murali, trittici, veri e propri cicli di opere modulari, con posizioni delle singole parti intercambiabili o meno, segno che la dimensione “quadro-dipinto-singolo” è superata, benché la maggior parte di queste “composizioni” (come lo stesso AZR nomina alcune di queste opere composte da pluralità di moduli) abbia come unità di misura “base” proprio il quadrato come spazio-forma privilegiata; ad ogni “ciclo” distinguibile, sia per i murali che i cicli cosiddetti “privati”, cioè non concepiti in virtù di una commissione o di uno spazio, AZR parte da una sorta di “matrice” (termine usato dallo stesso AZR) irriducibile alle categorie generali di figurativo o non-figurativo, “matrice” alla quale si riferisce lo sviluppo delle forme e della genesi concettuale che origina l’atto creativo.
Dopo il 2010, AZR si rende conto che la sua ricerca è arrivata a un punto decisivo, cosciente o meno della sua sorte, e intensifica il lavoro “privato” nei suoi ateliers: a più amici e colleghi artisti rivela un’urgenza temporale non più rinunciabile, anche di un rinnovato confronto con il Suo pubblico e con le committenze.
Dalla fine del 2010 incomincia a datare, costume non adottato in precedenza, non solo con l’anno, ma anche col giorno esatto, le sue opere, come in un conto alla rovescia personale o come in un’esigenza “asintotica” che rappresenta bene la poetica dell’“instabilità formale” alla quale lo stesso AZR riferisce le sue ultimissime Opere.
Di qui nascono le due composizioni “Requiem”, in cui elementi figurativi delle opere anni '70 e '80 rientrano nella nuova forma espressiva e gli ultimi grandi quadri dove l’artista ritorna a tecniche miste più eminentemente pittoriche e all’utilizzo ad esempio dell’argento nella sua funzione anti-pittorica ed iconica, in una sintesi espressiva strenua e costante, nonostante il venir a mancare delle sue forze.
AZR, sempre attivo e operativo fino alla fine, muore il 21 maggio 2011, dopo una breve malattia; nonostante il suo stato, discorrendo di pittura con allievi e studenti e colleghi e familiari accorsi al suo capezzale, resta lucidissimo fino alla fine dei suoi giorni.
Mauro Fagioli
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